Cos'è e come affrontarla
L’obesità è un problema diffuso nel nostro Paese, ma la maggioranza delle persone – anche quelle che soffrono di obesità – conosce poco questo problema. Le informazioni imprecise portano le persone affette da obesità ad avere idee sbagliate sulle cause del loro problema, a intraprendere trattamenti non adeguati e, in alcuni casi, a scatenare o aggravare la loro condizione di obesità.
Qui sono riportate in modo sintetico le conoscenze scientifiche più aggiornate sull’obesità
L’immagine corporea svolge un ruolo vitale nel benessere e nello sviluppo psicologico degli adolescenti. Tuttavia, i cambiamenti rapidi e significativi della forma del corpo durante la pubertà si associa spesso allo sviluppo di vari gradi di insoddisfazione corporea.
Quali sono i meccanismi attraverso cui social media possono influenzare lo sviluppo dell’insoddisfazione corporea e dei disordini alimentari
Non è più sostenibile affermare che i disturbi dell’alimentazione siano rari tra i maschi. Mentre la preoccupazione principale delle ragazze e delle donne con un disturbo dell’alimentazione è quella di essere troppo grasse, i maschi tendono a preoccuparsi di non avere abbastanza massa muscolare.
I maschi con disturbi dell’alimentazione soffrono di molte complicazioni mediche. Queste sono le conseguenze della restrizione dietetica calorica, del basso peso, dell’esercizio fisico eccessivo e dei comportamenti purgativi (vomito autoindotto, uso improprio di lassativi e diuretici).
Cosa sono, come affrontarli?
AIDAP ha promosso lo sviluppo e la ricerca della terapia cognitivo comportamentale (CBT) per i disturbi dell’alimentazione.
- Nei pazienti che non sono sottopeso, la CBT-E ambulatoriale generalmente prevede un appuntamento iniziale di valutazione/preparazione seguito da 20 sedute individuali in 20 settimane, della durata di 50 minuti ciascuna. Le prime 8 sedute sono eseguite 2 volte la settimana per sviluppare il cosiddetto “slancio terapeutico”. In seguito, le sedute sono eseguite una volta la settimana e, nella fase finale della terapia, le ultime tre sedute sono effettuate ogni due settimane.
- Nei pazienti che sono sottopeso, il trattamento è più lungo, potendo spesso prevedere 40 sedute in 40 settimane. In questa versione della CBT-E, inizialmente le sedute sono eseguite 2 volte
la settimana. Poi, quando il miglioramento avviene a un ritmo costante, le sedute sono eseguite una volta la settimana e nell’ultima fase del trattamento una volta ogni due settimane.
Dai disturbi alimentari se ne esce
Negli ultimi anni è stato proposto da alcuni gruppi di ricercatori il digiuno intermittente come modalità alimentare per provocare, attraverso complesse risposte cellulati adattive, il miglioramento della resistenza insulinica, dell’obesità, della dislipidemia, dell’ipertensione arteriosa e delle funzioni cognitive, l’aumento della resistenza allo stress, la soppressione dell’infiammazione e l’incremento dell’aspettativa di vita.
https://www.aidap.org/.../lalimentazione-regolare-non-il.../
Sebbene non ci siano differenze significative in termini di perdita di peso e miglioramento dei fattori di rischio cardiovascolari tra digiuno intermittente e dieta moderatamente ipocalorica continuativa, studi retrospettivi e basati sulla metodologia ecological momentary assessment hanno dimostrato che l’alimentazione ritardata (cioè passare molte ore durante il giorno senza mangiare) e la restrizione estrema e rigida aumentano la preoccupazione per il cibo e il rischio di sviluppare episodi di alimentazione in eccesso e di abbuffata.
Tra atleti maschi e femmine ci sono delle differenze, per esempio i diversi livelli di ormoni sessuali e di densità minerale ossea, che dovranno essere studiate attentamente. Attualmente i pochi dati che abbiamo sui maschi derivano solo da studi trasversali. Uno studio, per esempio, ha trovato che i fantini che mantengono intenzionalmente un basso peso, hanno una massa ossea inferiore rispetto ai pugili. Un altro studio ha osservato che lan altro studio ha osservato che la massa ossea a livello della colonna lombare può essere bassa negli atleti che praticano la corsa di resistenza e il ciclismo. La gestione degli atleti che mangiano poco è, non sorprendentemente, quella di mangiare più cibo, raccomandando una dieta salutare con pasti e spuntini regolari che include un’adeguata quantità di calcio e vitamina D. Convincere gli atleti a mangiare di più però non è sempre facile, in particolare se devono rimanere in una categoria di peso, come i lottatori, o se traggono dei vantaggi a essere più leggeri, come i saltatori e i fantini. Una strategia che spesso funziona è sottolineare che una corretta alimentazione e un buono stato nutrizionale migliorano la prestazione atletica.
L’anoressia nervosa (AN) è un disturbo prevalentemente femminile con un rapporto 10:1 tra femmine e maschi, una prevalenza lifetime tra i maschi dello 0,2-0,3% e un’incidenza inferiore a 1 per 100000 persone-anno. L’AN è un disturbo con elevata mortalità, ma gli studi di mortalità effettuati nei maschi sono pochi e quelli disponibili hanno valutato campioni di piccole dimensioni con brevi tempi di follow-up.
https://www.aidap.org/.../aumento-della-mortalita-nei.../
Lo studio ha dimostrato che i pazienti maschi con AN hanno un incremento della mortalità quattro volte superiore rispetto ai maschi della popolazione generale, ma che arriva a nove in quelli con comorbilità psichiatrica e a 11 volte in quelli con disturbo da uso di alcol, mentre quelli senza comorbilità psichiatrica non mostrano differenze in termini di mortalità con la popolazione generale. La comorbilità psichiatrica sembra influenzare l’aumento della mortalità per cause non naturali, aumentando il rischio di suicidio e autolesionismo, e se c’è la coesistenza di un disturbo da uso di alcool, anche per cause naturali per la combinazione di malnutrizione, cirrosi epatica, aritmie, convulsioni e intossicazione.
I rituali alimentari sono comportamenti problematici osservati comunemente nelle persone con anoressia nervosa. Tuttavia, la ricerca ha scarsamente studiato il loro ruolo sugli esiti del trattamento.
https://www.aidap.org/.../uno-studio-longitudinale-sui.../
Un recente studio pubblicato su Frontiers in Psychology dall’equipe del Dipartimento dei Disturbi dell’alimentazione di Villa Garda ha valutato in 90 pazienti affetti da anoressia nervosa trattati con con 20 settimane di terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E) intensiva residenziale la presenza di rituali alimentari, la loro modificazione nel tempo e il loro ruolo come predittori di esito del trattamento. I pazienti sono stati valutati al basale, dopo 4 settimane e alla fine del trattamento e dopo 6 mesi dalla dimissione con l’intervista Eating Disorder Examination (EDE.16), il Brief Symptom Inventory (BSI), lo Starvation Symptom Inventory (SSI) e una check list di 9 item dei rituali alimentari completata da una dietista durante l’assistenza dei pasti delle pazienti. La Structured Clinical Interview (SCID DSM-IV) è stata somministrata per valutare la presenza di disturbi mentali coesistenti al disturbo dell’alimentazione. I risultati dello studio hanno evidenziato che rituali alimentari miglioravano dall’inizio del trattamento, a 4 settimane e alla fine della terapia e che la percentuale dei pazienti con almeno un rituale alimentare al basale si riduceva dall’87,7% al 71,2% dopo 4 settimane e al 41,1% alla fine del trattamento.
Nel mondo occidentale circa 2 adolescenti su 10 hanno un peso in eccesso. Oltre la metà di loro riferisce di prese in giro e critiche feroci per via del proprio peso. Se da un lato risulta prevedibile che questo “pesismo” sia praticato dai pari età, dall’altro, stupisce osservare che in molti casi siano familiari (fratelli, cugini e persino genitori) e tutor (insegnanti, allenatori) a metterlo in atto con frasi e gesti.
Dall’indagine, inoltre, risulta che i nuovi sistemi di comunicazione e i social hanno un ruolo nel mantenere questo problema: su facebook e twitter si utilizzano di frequente espressioni, frasi, immagini e teorie che sminuiscono e vessano le persone con eccesso di peso. Anche la scuola è un contenitore dove di frequente sono riscontrabili eventi di intolleranza al peso. Riportiamo il caso di una classe di quinta elementare divisa in due gruppi: le puntine e le ciccione. Le prime tendevano ad isolare le seconde, tanto da boicottare la loro presenza ai compleanni. Una delle bambine appartenente al gruppo delle “ciccione” è stata trovata dalle maestre in bagno nel tentativo di vomitare.
I responsabili della ricerca indicano alcuni accorgimenti utili da adottare.
A cura di Riccardo Dalle Grave, AIDAP Verona
Nel gennaio 2024, The New York Times Magazine ha pubblicato un articolo dal titolo provocatorio: “Should Patients Be Allowed to Die From Anorexia?” (Ai pazienti dovrebbe essere permesso di morire di anoressia?). Questa domanda, apparentemente estrema, ha riacceso un dibattito che coinvolge medici, psicologi, pazienti e famiglie: fino a che punto una persona affetta da anoressia nervosa grave può essere considerata in grado di rifiutare le cure?
La questione della capacità decisionale è centrale nel dibattito. Tradizionalmente, i medici valutano questa capacità in base a quattro criteri principali delineati da Appelbaum e Grisso nel 1988:
Comprensione delle informazioni mediche ricevute.
Consapevolezza della propria condizione e delle conseguenze delle proprie scelte.
Capacità di ragionamento e valutazione delle opzioni disponibili.
Espressione di una scelta coerente con i propri valori e desideri.
Verso un approccio più ampio e multidisciplinare:
Una valutazione multidisciplinare, con il coinvolgimento di psichiatri, nutrizionisti, eticisti e assistenti sociali, per ottenere un quadro più completo della situazione.
Un supporto a lungo termine, che preveda opzioni di cura flessibili e adattabili alle necessità del paziente, piuttosto che soluzioni drastiche di accettazione o rifiuto totale.
Una comunicazione trasparente, che aiuti i pazienti a comprendere le opzioni disponibili, riducendo il rischio che la decisione venga vissuta come una coercizione.
Il coinvolgimento della famiglia, che spesso può offrire un sostegno cruciale nel processo di cura.
di Selvaggia Sermattei – AIDAP Empoli e Firenze
https://www.aidap.org/.../preoccupazioni-per-il-peso-o.../
Nel campo dei disturbi dell’alimentazione la ricerca non ha ancora chiarito se la preoccupazione per l’immagine corporea rappresenti una caratteristica chiave della psicopatologia o più semplicemente un epifenomeno. Infatti, mentre alcuni autori hanno recentemente proposto di considerare l’anoressia nervosa (AN) come un mero disturbo dell’immagine corporea, altri ritengono che questa concettualizzazione sia riduttiva e semplicistica rispetto alla natura multifattoriale del problema. Per quanto la revisione della storia del disturbo mostri come la paura del peso sia stata descritta raramente fino al 1930, ad oggi, c’è evidenza in letteratura della relazione fra il timore di aumentare di peso e un più alto livello di psicopatologia nell’anoressia nervosa e sul ruolo della preoccupazione per l’immagine corporea nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione
Di fatto, la moderna teoria transdiagnostica dei disturbi dell’alimentazione considera la preoccupazione per l’immagine corporea una caratteristica clinica che deriva direttamente dall’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, cioè dalla psicopatologia specifica e centrale della maggior parte dei disturbi dell’alimentazione. Sulla base di questo presupposto, la terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E), derivata dalla teoria stessa e che ha un’efficacia basata sull’evidenza scientifica, mira proprio ad affrontare queste caratteristiche.
A cura di Francesco Jarrera UOL AIDAP
Soluzioni e programmi per perdere peso, fraudolenti e dannosi: franchising del dimagrimento, libri di diete speciali, integratori alimentari, intolleranze, diete dei gruppi sanguigni. Si tratta di proposte veicolate con messaggi simili: “È infallibile”, “Milioni di persone ci sono già riuscite”, “Non servono sacrifici”, “È sano e naturale”. Un vero e proprio bombardamento social di false notizie su alimentazione e perdita di peso.
Le statistiche indicano che circa il 50% delle persone con eccesso di peso ha fatto ricorso a prodotti e sistemi dimagranti che promettevano una perdita di peso senza il bisogno di mangiare di meno; allo stesso tempo il 90% di coloro che li hanno sperimentati li definisce inefficaci. Questi risultati sono chiari: siamo di fronte ad un inganno colossale che coinvolge quotidianamente milioni di persone e la loro salute.
di Francesco Iarrera Responsabile UOL AIDAP Oliveri. Referente Regionale AIDAP SICILIA
Quando ho chiesto ad Antonina di raccontarmi come abbia fatto a guarire dall’anoressia, lei ha risposto con una metafora: “Ha presente le malattie infettive del ‘700? Oggi sono sconfitte dalla scoperta del vaccino. La terapia che mi ha insegnato lei è stata il mio vaccino. Mi sento come i soldati che tornano dalle guerre: una sopravvissuta.”
Antonina è sempre stata una ragazza casa e chiesa. Niente di speciale, se non fosse stato per l’anoressia e che lei in Dio ci crede davvero. Si è ammalata a 12 anni e per i successivi 19 ha condiviso la sua vita con l’anoressia.
Quando le ragazze imparavano la prima cotta, lei iniziava a pesare il cibo. Quando le compagne di classe tossivano di nascosto la prima sigaretta, lei contava le calorie. Quando le amiche sognavano di amori infiniti, lei correva a bruciare calorie.
Mentre le mamme si incantavano per la prima poppata, Antonina non aveva il ciclo.
L’anoressia le ha sequestrato gli anni migliori dell’esistenza. Eppure, quando ne parla è gentile come una farfalla: “la malattia ha provato a togliermi il dono della vita. Oggi posso dire che mi ha insegnato ad apprezzarne ogni suo frammento”.
Al primo incontro è entrata in stanza in punta di piedi. Come se i suoi 30 chili potessero urtare e buttare giù i mobili.
Sorrideva molto e ha chiesto come mi sentissi. L’anoressia le stava violentando il corpo ma non ne aveva intaccato l’animo nobile.
Era rassegnata. L’ultimo specialista che l’aveva visitata era stato categorico: “anoressia cronica”. All’epoca aveva 28 anni e non era possibile, dicevano, guarire dopo 16 anni di una malattia che passa dalla bocca e ti conquista la testa.
Oggi ha 33 anni e tutti i giorni mi manda per messaggio una pagina del diario in cui racconta della sua nuova vita. Ogni parola è un inno alla gioia di esistere. Ogni frase una speranza che abbatte muri e scala montagne.
"Antonina”, le ho detto qualche mese fa, “credo che la terapia possa chiudersi qua. Tu non hai più l’anoressia”.
“Dottore, ma era cronica.”
“Nessuno dei due ci ha creduto e sei guarita”
di Riccardo Dalle Grave e Simona Calugi
La prevalenza, le caratteristiche cliniche e le conseguenze mediche dei disturbi dell’alimentazione nelle persone affette da diabete di tipo 1 hanno ricevuto crescente attenzione da quando le segnalazioni di questa pericolosa combinazione sono state pubblicate per la prima volta negli anni ’80 (Szmukler, 1984).
La diagnosi di disturbo dell’alimentazione nelle persone con diabete di tipo 1 è difficile, perché c’è una tendenza a nascondere e a negare l’adozione di comportamenti alimentari problematici.
Segni d’allarme che possono far sospettare la presenza di un disturbo dell’alimentazione in un paziente con diabete di tipo 1
-Aumenti non spiegabili dei valori di emoglobina glicata (HbA1c)
-Ripetuti episodi di chetoacidosi diabetica per omissione di insulina
-Preoccupazioni estreme per il peso e la forma del corpo
-Paura morbosa di ingrassare
-Evitamento della misurazione del peso o frequente misurazione del peso
-Sensazione di essere grassi
-Check della forma del corpo frequenti ed anomali
-Adozione di regole dietetiche estreme e rigide
-Episodi di abbuffata ricorrenti
-Episodi di vomito autoindotto ricorrenti
-Uso improprio di lassativi e/o diuretici
-Esercizio fisico eccessivo
-Amenorrea secondaria
di
Riccardo Dalle Grave e Simona Calugi
La prevalenza, le caratteristiche cliniche e le conseguenze mediche dei disturbi dell’alimentazione nelle persone affette da diabete di tipo 1 hanno ricevuto crescente attenzione da quando le segnalazioni di questa pericolosa combinazione sono state pubblicate per la prima volta negli anni ’80 (Szmukler, 1984).
Segni d’allarme che possono far sospettare la presenza di un disturbo dell’alimentazione in un paziente con diabete di tipo 1
⚪️Aumenti non spiegabili dei valori di emoglobina glicata (HbA1c)
⚪️Ripetuti episodi di chetoacidosi diabetica per omissione di insulina
⚪️Preoccupazioni estreme per il peso e la forma del corpo
⚪️Paura morbosa di ingrassare
⚪️Evitamento della misurazione del peso o frequente misurazione del peso
⚪️Sensazione di essere grassi
⚪️Check della forma del corpo frequenti ed anomali
⚪️Adozione di regole dietetiche estreme e rigide
⚪️Episodi di abbuffata ricorrenti
⚪️Episodi di vomito autoindotto ricorrenti
⚪️Uso improprio di lassativi e/o diuretici
⚪️Esercizio fisico eccessivo
⚪️Amenorrea secondaria
Trattamento
https://www.aidap.org/.../quando-disturbo-alimentazione.../
Riccardo Dalle Grave – Unità Operativa Locale AIDAP Verona
Una nuova teoria cognitivo comportamentale del BED, che integra i meccanismi cognitivo comportamentali ben consolidati che mantengono gli episodi di abbuffata con ulteriori processi cognitivi e comportamentali che contribuiscono al mantenimento di un peso elevato (Figura). Sebbene non tutti questi fattori di mantenimento siano presenti nelle persone con BED, ogni paziente riporta una combinazione di questi elementi.
⚪️Eventi e cambiamenti emotivi associati:
- il cibo può essere utilizzato come distrazione da eventi avversi e problemi.
- il cibo può aiutare ad alleviare stati emotivi negativi.
- il cibo è spesso impiegato come mezzo di autogratificazione.
⚪️ Eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo
⚪️ Obiettivi di peso irrealistici
⚪️ Dieta disfunzionale
⚪️ Alimentazione eccessiva e sregolata
-Saltare i pasti
-Fare spuntini frequenti o spiluccare tra i pasti
-Consumare porzioni eccessive e cibi “spazzatura” ricchi di calorie, grassi saturi, zuccheri e/o sale (ad es. hamburger, hot dog, pollo fritto, patatine fritte, bevande zuccherate, dolci trasformati, pizza)
⚪️Peso elevato e vita sedentaria
⚪️Stigma del peso interiorizzato
Lo stigma del peso interiorizzato si verifica quando gli individui adottano come proprie le credenze sociali negative e stereotipate nei confronti delle persone con peso elevato. Ciò li porta a percepirsi inferiori rispetto a chi riesce a controllare il proprio peso, sviluppando pensieri continui di autocritica come: “Sono così pigro”, “Non ho forza di volontà”, “Mi odio perché non ho alcun autocontrollo”, “Sono un fallimento”.
La nuova teoria cognitivo-comportamentale del mantenimento del BED è innovativa perché riconosce l’importanza di affrontare non solo gli episodi di abbuffata, ma anche l’alimentazione sregolata ed eccessiva tra un episodio e l’altro.
Numerosi studi hanno osservato che il supporto del coniuge è un fattore che influenza la riduzione del peso nelle donne con diabete di tipo 2 e obesità. Inoltre, il sostegno familiare è risultato efficace nell’adozione di comportamenti che promuovono la salute tra i pazienti con malattie cardiovascolari e nell’aderenza alle linee guida sull’attività fisica e sui comportamenti dietetici salutari dei membri della famiglia cronicamente malati. È stato anche dimostrato che il supporto familiare si correla positivamente con i livelli di attività fisica delle persone.
Questi dati hanno spinto i teorici della terapia cognitivo comportamentale dell’obesità (CBT-OB) a coinvolgere di routine i membri della famiglia (es. il coniuge, il partner, i genitori) nel trattamento, con l’obiettivo di creare un ambiente ottimale per facilitare il cambiamento di stile di vita del paziente
L’anoressia nervosa atipica è contraddistinta da una psicopatologia e da complicanze mediche simili a quelle riscontrate nell’anoressia nervosa. Le persone con anoressia nervosa atipica presentano una più lunga durata del disturbo e una maggiore perdita di peso prima di ricevere una terapia adeguata rispetto a chi è affetto da anoressia nervosa.
Nell’anoressia nervosa atipica risultano soddisfatti tutti i criteri dell’anoressia nervosa tranne quello relativo al peso: difatti nonostante la significativa perdita di peso, la persona rimane all’interno o al di sopra del range di normalità. Il tasso di prevalenza è 2-3 volte maggiore rispetto all’anoressia nervosa e quello di ospedalizzazione 5 volte più elevato. Negli adolescenti con anoressia nervosa atipica è stata anche osservata una maggior gravità della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione (DA) così come un incremento dei livelli di ansia, depressione e insoddisfazione corporea. Occorre anche considerare che i giovani con una storia di peso più elevato antecedente all’esordio del DA possono trovarsi a dover fronteggiare maggiori pregiudizi e stigma relativi al proprio peso. I pari, la società e anche i professionisti sanitari potrebbero reputare l’anoressia nervosa atipica come “meno grave” e comportarsi di conseguenza. In campo medico, l’attenzione al peso, il timore della diffusione dell’obesità, la promozione/incoraggiamento alla perdita di peso (che può impattare in modo negativo, ad es. comportamenti alimentari problematici, senso di inadeguatezza verso il proprio corpo, vergogna) tende a perpetuare l’erronea concezione secondo cui solamente il peso costituisca un indicatore di salute.
Il FBT è considerato l’intervento con maggior supporto empirico per adolescenti con anoressia nervosa. Questo tipo di trattamento coinvolge tutti i membri del nucleo familiare. Il focus è posto sul recupero del peso come elemento chiave per la remissione del DA e sul ruolo svolto dalla famiglia.